Prima della cicuta

Me ne sono andata che era primavera e torno ora che siamo nel pieno di uno strano inverno estivo in cui ancora c’è gente che gira in braghette anche se ovunque brillano le lucine di Natale.

Ovunque tranne che a casa nostra perchè misteriosamente quest’anno sentiamo tutti molto poco l’avvicinarsi di quella che era la nostra festività preferita e nascosti dietro le quotidiane incombenze rimandiamo ad oltranza il discorso festeregaliecenoni.

In questi mesi non ho visto niente di diverso da Pesaro e ammetto che c’è una discreta ripetitività nelle mie foto ma anche alzando lo sguardo verso il futuro vedo poco altro all’orizzonte, quindi se avessi aspettato un reportage clamoroso prima di ripassare da qui, ci si rivedeva da vecchi…tocca accontentarsi del solito mare e dei magici glomeruli 😉

Come invecchiare al meglio è in effetti il nostro argomento preferito ultimamente.

Vittime di anziani dispotici e depressi, promettiamo a noi stessi e ai nostri figli che per quanto l’età si potrà accanire sulla mente e sul corpo, noi giammai ci vendicheremo sul loro quotidiano rendendoli infelici ma cercheremo di rimanere quel che siamo…due simpatici sfasati.

Ammetto però che è proprio grazie a questi esempi negativi che mi circondano che ho deciso di invecchiare forte e sto incredibilmente mantenendo fede a tutti i miei buoni propositi di attività fisica quotidana ed esercizi per la memoria e per la mente.

Sono entrati così a fondo nella mia routine da diventare praticamente un bisogno e questo ha davvero del miracoloso vista la mia innata avversione allo sport.

Dovreste vedermi mentre ancheggio dentro il mio Hula Hoop da due chili!

Forse la conoscete già tutti ed io ero l’unica non averla mai letta ma di recente mi ha molto colpita la parabola del flauto di Socrate.

Mentre stavano preparandogli la cicuta, Socrate si esercitava sul flauto per imparare una melodia.
«A cosa ti serve?», gli domandarono.
E il filosofo: «A sapere quest’aria prima di morire!».

L’utilità e l’inutilità delle cose che faccio è per me un gran motivo di cruccio.
Nel corso degli anni sono stata posseduta da innumerevoli passioni che non hanno avuto esiti pratici o monetari.

So pirografare, intagliare cucchiai di legno, piegare origami e via dicendo e possiedo il materiale necessario a fare queste e molte altre cose.

Finchè i figli erano piccoli potevo in qualche modo trovare uno scopo a questi oggetti ma ora è così difficile che ho completamente accantonato la loro produzione.

A cosa ti serve?
Anche se non c’è più mia madre a chiedermelo l’eco di questa domanda è dentro di me ogni volta che metto mano a qualcosa di nuovo.
Non mi interessa vendere, non mi interessa mostrare, è proprio solo una questione di bisogno di applicarmi.

Il guaio è che ora che ho eliminato il frutto pratico di queste passioni ossessive mi ritrovo totalmente dominata da una fame conoscitiva.

Devo assolutamente sapere tutto sulla Rosa Bianca, sull’omicidio Kennedy, sulla vita del facocero, sui frutti del ginkgo, eccetera.
A cosa mi serve?
Credevo a niente ma ora Socrate mi ha dato la risposta.

A sapere queste cose prima di morire.

Ho eliminato molte attività ma assolutamente non la maglia (visto che poi ha un lato pratico non indifferente: il caldo maglione che ne risulta)

Quest’anno mi metto alla prova lavorando un classico islandese, con lana islandese e sperimentando per la prima volta il tanto temuto steeking che è il taglio frontale del maglione per trasformarlo in un cardigan…sperem ben!

Per caricarmi mi son lasciata prendere da una botta di consumismo e ho acquistato, pur non avendone assolutamente bisogno, dei bellissimi marcapunti che solo a guardarli mi infondono allegria.

Per la gioia della famiglia invece, alla mia veneranda età, ho finalmente imparato a fare una buona crostata.
Non so quante ne ho buttate nel corso degli anni e quanto tempo ho fatto passare prima di riprovarci.
Evidentemente questo era il momento giusto e ovviamente ora so assolutamente tutto sulla teoria della crostata 😉

Vi lascio con un altro bel tramonto, rendendomi conto che forse non è vero che non mi piacciono più visto che mi ci incanto ogni sera e che se posso corro a prendere la reflex.

Buone Feste e Buone Vacanze!

Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso: che se il Gorgon si mostra, e tu il vedessi, nulla sarebbe del tornar mai suso.


Tra tutti i personaggi storici pesaresi che ho conosciuto in questi vent’anni di permanenza il mio preferito in assoluto è Ferruccio Mengaroni.

La sua storia è così tragica e singolare che mi stupisco sempre di non vederla ricordata e citata in ogni angolo di questa città (che purtroppo sembra essersi completamente votata al culto di Rossini).

Ragazzino turbolento ed estroverso, venne cacciato da diverse scuole, tanto che il padre ingegnere decise di mandarlo a bottega presso un noto laboratorio di ceramica.
Una scelta decisamente azzeccata visto che proprio in quest’arte il caro Ferruccio scoprirà il suo talento.
Divenne così un personaggio stravagante e carismatico.
Superstizioso, burbero e anarchico, riuscì ben presto ad aprire una propria fabbrica nella quale oltre alle ceramiche tradizionali, produceva le sue monumentali opere.


La più famosa è questa Medusa, che ispirata a quella del Caravaggio, riproduce il volto del Mengaroni stesso.
Durante i preparativi per un concorso alla Villa Reale di Monza la cassa contentente quest’opera (dal peso di dodici quintali) si sganciò e scivolò lungo la scalinata dove travolse e uccise il Mengaroni che si era slanciato per tentare di salvarla.

Ci lascia questa storia incredibile, molte opere sparse per l’Italia e quel suo volto pietrificato tra le serpi.


Il Menga, che per me è una perfetta metafora della vita, mi capita di immaginarlo su quella scala, vittima di un istinto quasi paterno e a lui penso ogni qual volta mi ritrovo a reggere una delle mie tante casse con entrambe le mani, sperando di non venirne travolta e allo stesso tempo cercando disperatamente di salvarla, anche se poi spesso mi tocca di rassegnarmi, scansarmi e poi mettermi in ginocchio a raccogliere i cocci.

Ma tutto appare più facile quando c’è una primavera che bussa alle porte.

Si ricominciano le camminate mattutine e si diventa improvvisamente consapevoli dell’avvenuto cambio di stagione.

La zona mare si risveglia, in centro ci sono i pullman delle gite e si cominciano a pubblicizzare gli eventi e le sagre che animeranno i dintorni nei prossimi mesi.

In realtà queste foto sono un po’ vecchiotte, le avevo caricate il mese scorso ma poi non ho mai trovato il cosiddetto buzzo buono per mettermi a scrivere, quindi è già più primavera di quella che vedete, anche se a dire il vero il tempo ha fatto abbastanza schifo in quest’ultimo periodo.


Anche il mio giardino e il mio orto sono decisamente più avanti di quello che mostrano le immagini.
Ho piantatato i pomodori, le zucchine e i piselli sono già rigogliosi.


Mia figlia e il suo moroso han messo su due alveari e si aggirano furtivi con le loro tute gialle e tanta voglia di imparare un mestiere per me misteriosissimo.

Per fare onore a questa loro passione mi sono ripromessa di combattere la mia avversione nei confronti del miele e di tutti i suoi derivati ma la vedo parecchio dura.

Intanto, come mio solito, ho ripiegato sui libri e sto scoprendo meraviglie sulla società delle api ma questo non me le rende comunque amiche, anche se gli sono ugualmente grata perchè da quando ci sono, i ragazzi vengono spesso qui a fare merenda e questa è la cosa più positiva della faccenda.


Le mie orchidee sono tutte in fiore e non so perchè ma è una cosa che mi fa sentire molto bene.
La vivo come una sorta di riconoscimento per l’amore che da vent’anni investo nella loro cura.

Quando ero alle prime armi ho raccolto un sacco di cadaveri e per quanto queste benedette piante non mi fossero necessarie mi sono intestardita nel coltivarle e non c’è giorno in cui io non sia orgogliosa di aver mantenuto questa passione.

Le loro fioriture (a volte a sorpresa, spesso lunghissime) sono un vero e proprio toccasana per il mio umore e la loro sola presenza mi rimette in pace col mondo e con me stessa.


Da quando son diventata vecchia i tramonti mi emozionano sempre di meno, anzi quasi per niente, ma non posso fare a meno di fotografarli, forse per una sorta di istinto radicato da troppo tempo dentro di me.

Dunque vi lascio con questo che ha dell’incredibile e che si è ripetuto per più e più giorni.


Buona primavera!