il libro sul comodino: le poesie di Roberta Dapunt

rob dapin questi anni di maturità e disincanto mi sono timidamente riavvicinata alla poesia.

roberta dapunte anche se non mi infiamma più come un tempo, mi piace mandare i versi a memoria, e rigirarmeli nella testa, per il solo piacere che mi danno certe parole messe in fila nel modo giusto.

mi piacciono molto i poeti che vivono anni luce lontani dal mio mondo ma vicini alle stesse solitudini.
mi incuriosiscono le cose che riescono a trovarci dentro e l’incredibile abilità che hanno nel trasformarle in versi.

roberta-dapuntIMG_3508_GWRoberta Dapunt vive in un maso della Val Badia, dove l’inverno dura da ottobre a maggio e dove le montagne fanno quello che devono fare, senza sconti nemmeno per i poeti.

nei suoi versi c’è la bellezza di ciò che la circonda, la ricerca di un rapporto con Dio e soprattutto il racconto di un quotidiano fatto di poche cose, semplici e sacre.

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L’amo così, profumata di ultime erbe incolte,
respinte per indifferenza sulle chine contorte,
difficile comprendere il silenzioso novembre e i luoghi,
che ogni anno di più reclamano il fischio sommesso della falce
e una verde urgenza servita a niente.

Io ti parlo da semplice condizione,
senza narrazioni sacre di avvenimenti,
senza i racconti in dottrine di imprese e di gesta,
senza le origini di dei e di eroi.
Riservato campo il mio, in cerca solamente di zitte presenze
e del comune esistere, poichè il tempo
in questo luogo è morsa di accadimento sempre uguale.

Casa mia è il maso, dentro il quale fluiscono anni e coscienza,
cadenza che non chiede il permesso di denunciare
ad ogni sguardo, in ogni angolo il suo passato,
epifania presuntuosa di generazioni avvenute.
Misurata vita la nostra, durata giusta che ha da spartire i mesi
tra i pochi fieni raccolti al sole e il loro fruscio ruminato al buio.
Il resto, passante, è silenzioso rimanere quando il tuo è ritorno.

L’amo così, lungo il colmo di abeti in pastura di quiete,
quando si fanno orlo i freddi campi e le nutrite nubi
e si leva una conversazione muta tra la libertà e misericordia.
E’ congiuntura, che accade una volta soltanto dentro l’anno,
chi torna da greppie riempite lo sa
e sa che il momento prima della neve ha un odore.

Ma soprattutto l’amo nella misura di chi sa scernere un’erba dall’altra
e condividere due silenzi di dovere, differenti
soltanto per un gesto tracciato da un segno di croce.
Civiltà contadina contata ormai in poche mani,
mentalità imprescindibile, semente nostra da salvare,
possidente di manualità che non conosce il giorno di riposo
e tiene il merito a fronte alta di abitare la montagna.

E dunque, espongo in questi versi, a te che passi un punto di vista,
che una stalla non è il volto della modestia,
bensì il tornaconto dei concimi versati.
E’ traccia immutabile di rinnovamento,
il beneficio di un vivere consueto lasciato in abbandono dai tanti.
Ciò che conosciamo da sempre ora ci succede di riconoscere soltanto.

dapunt_webdi ritorno dalla stalla

In questo buio compatto è perpetuo novembre.
Sei tu Dio? Onnipresente sconosciuto.
Perchè io so che tu sei,
lo sanno i miei sensi,
quando tornano dalla stalla.

Tutto è qui nella riservatezza rurale che ripeto
mattina e sera, spesso unico sentiero
che pesto come a passeggio verso casa.

Tutto è qui. Qui è l’avvenire,
qui è il tempo che passa e la morte che viene,
in questo gesto comune è la mia alleanza
posta fieno su fieno,
letame dopo letame,
solitudine per solitudine,
nell’amore alla vita, perchè vita è l’unico supporto,
qui su questo percorso, umile gioia dei giorni.